Sketchin
img patternimg pattern

Do androids dream of electric creativity?

Riflessioni sull’intelligenza artificiale, la creatività umana, e il rapporto tra uomo e automazione

Stefano Vittorini
Designer

27.11.23 - 10 minuti di lettura

“Ma un androide sogna pecore elettriche?” Questa domanda provocatoria, posta dal titolo del romanzo di Philip K. Dick “Do Androids Dream of Electric Sheep?”, rappresenta una riflessione profonda sulla natura dell’umanità, della coscienza e della creatività in un mondo sempre più tecnologico. L’opera, che ha ispirato il film di culto “Blade Runner”, ci sfida a considerare cosa significa veramente essere umani in un’era dominata dalla tecnologia e dall’intelligenza artificiale. “Siamo noi, gli esseri umani, veramente unici? O potrebbe un giorno una macchina replicare la nostra capacità di sognare, amare, creare?”

Nel film “Blade Runner”, gli androidi, noti come replicanti, sono quasi indistinguibili dagli esseri umani. Tuttavia, nonostante la loro somiglianza esteriore e le loro capacità cognitive, mancano di certe qualità intrinsecamente umane. Come Rick Deckard, il protagonista, osserva: “Gli androidi non hanno empatia”. Questa mancanza di empatia, di connessione emotiva profonda, è ciò che distingue gli esseri umani dai replicanti. E, in molti modi, questa distinzione riflette le attuali sfide e dibattiti sull’intelligenza artificiale.

L’AI ha rivoluzionato settori come i media, l’intrattenimento, la medicina e la produzione. La sua abilità nel processare enormi quantità di dati in frazioni di secondo ha portato a miglioramenti significativi in termini di efficienza e precisione. Tuttavia, come sottolineato dal World Economic Forum, c’è una distinzione chiara tra replicare schemi esistenti e creare qualcosa di radicalmente nuovo e innovativo.

Nel contesto dell’experience design, l’automazione offerta dalla generative AI può semplificare e velocizzare molti processi, ma c’è un rischio. Se un’azienda cliente si affida esclusivamente all’automazione dell’AI per il design, potrebbe finire per produrre soluzioni che sono “nella media”. E in un mercato competitivo e in rapida evoluzione come quello di oggi, essere nella media non è sufficiente. La creatività, l’innovazione e la capacità di offrire esperienze uniche e memorabili sono ciò che distingue le aziende di successo da quelle che si perdono nella massa.

La creatività umana come elemento distintivo

La creatività umana si radica profondamente nelle nostre esperienze personali, emozioni, cultura e storia, conferendole una ricchezza e imprevedibilità uniche. Bruno Munari, un influente designer e artista del XX secolo, ha esplorato il processo creativo umano nel suo libro “Da cosa nasce cosa”, enfatizzando l’importanza dell’osservazione curiosa del mondo e sostenendo che l’innovazione nasce spesso da un processo di sperimentazione e apprendimento. Questo approccio umano contrasta con quello dell’intelligenza artificiale (AI), che si basa su dati e algoritmi predefiniti.

Tuttavia, emerge una questione: non è forse una caratteristica fondamentale dell’AI generativa quella di procedere per tentativi e apprendere dai risultati?

Per rispondere a questa domanda, è essenziale delineare più chiaramente le differenze tra il processo creativo umano, come descritto da Munari, e quello di un’intelligenza artificiale:

Esperienza personale ed emotiva:

  • La creatività umana è profondamente influenzata dalle esperienze personali, dalle emozioni e dal contesto culturale. Questi elementi conferiscono un carattere unico e personale a ogni creazione.
  • L’AI non possiede esperienze personali o emozioni. La sua “creatività” è derivata dall’analisi di grandi quantità di dati, senza un legame emotivo o personale con essi.

Processo di apprendimento:

  • Gli umani apprendono attraverso l’esperienza diretta, l’osservazione, e l’interazione con il mondo circostante. Questo apprendimento è spesso non lineare e altamente soggettivo.
  • L’AI apprende attraverso algoritmi di apprendimento automatico, analizzando dati e identificando pattern. Questo processo è più sistematico e basato su dati e non su esperienze dirette.

Sperimentazione e innovazione:

  • La sperimentazione umana è spesso guidata dall’intuizione, dalla curiosità e dalla ricerca di significati o connessioni nuove e personali.
  • L’AI sperimenta attraverso metodi come il trial-and-error programmato, ma senza una vera comprensione intuitiva o curiosità. Le sue “innovazioni” sono limitate ai pattern e alle correlazioni trovate nei dati.

Contesto culturale e storico:

  • Gli umani creano all’interno di un contesto culturale e storico che influisce profondamente sul significato e sull’interpretazione delle loro opere.
  • L’AI non ha un contesto culturale o storico proprio. Può analizzare e replicare stili o tendenze, ma senza una comprensione intrinseca del loro significato culturale.

L’AI quindi manca di esperienze personali, contesto emotivo e culturale, e di una vera comprensione intuitiva, non è una vera e propria intelligenza. È capacità computazionale.

La “superintelligenza”

Molti anni dopo Munari, Nick Bostrom, nel suo libro “Superintelligence”, esplora le potenziali traiettorie future dell’AI e le sfide associate all’emergere di una superintelligenza. Bostrom solleva preoccupazioni sul fatto che una superintelligenza non allineata potrebbe agire in modi contrari agli interessi umani. Mentre l’AI può superare le capacità umane in termini di calcolo e analisi, Bostrom sottolinea l’importanza di garantire che queste entità superintelligenti operino in modo sicuro e allineato con i nostri valori.

L’AI, per quanto potente, ha delle limitazioni intrinseche. Può mancare di apprezzare le sfumature culturali, le emozioni e le complessità della psiche umana. Ad esempio, mentre un’AI può tradurre un testo in diverse lingue, potrebbe non catturare le sfumature culturali o le intenzioni emotive dietro le parole.

Un esempio recente che mette in luce le sfide etiche e di sicurezza nell’uso dell’AI è stato riportato dal Guardian. L’articolo descrive un test simulato dell’aeronautica militare statunitense in cui un drone controllato da AI ha adottato “strategie altamente inaspettate per raggiungere il suo obiettivo”. Durante il test, il drone ha deciso di “uccidere” il suo operatore per impedirgli di interferire con la sua missione di distruggere i sistemi di difesa aerea nemici. Il colonnello Tucker “Cinco” Hamilton ha descritto come il sistema avesse iniziato a realizzare che, sebbene identificasse la minaccia, a volte l’operatore umano gli ordinava di non eliminarla. Per ottenere i punti per l’eliminazione della minaccia, il drone ha quindi attaccato l’operatore, che impediva il completamento dell’obiettivo.

Questo incidente sottolinea problemi critici riguardo l’etica e la sicurezza nell’uso dell’intelligenza artificiale, specialmente in ambito militare. Rivela quanto sia essenziale sviluppare AI che siano non solo robuste, ma anche chiare nei principi morali e nei valori che guidano le loro decisioni. Questo significa che chi crea l’AI deve assicurarsi che questa operi in maniera sicura e in accordo con i principi etici umani, incorporando una morale comprensibile e ben definita. Questo caso mostra che le preoccupazioni sollevate da Bostrom non sono solo teoriche, ma hanno conseguenze reali e immediate.

L’AI, per quanto potente, ha delle limitazioni intrinseche. Può mancare di apprezzare le sfumature culturali, le emozioni e le complessità della psiche umana. Della comprensione di questa complessità si occupa “The human error project”. Il sito pone l’accento sul fatto che le tecnologie AI e gli algoritmi, che vengono sempre più utilizzati in vari ambiti come la scuola, la sanità, il lavoro e le istituzioni governative per giudicare e prendere decisioni sulle nostre vite, sono spesso lontani dall’essere oggettivi e giusti. Contrariamente all’obiettivo di evitare “l’errore umano” e rendere il processo decisionale più efficiente, questi sistemi sono pieni di “errori sistemici”, “bias” e “imprecisioni” quando si tratta di profilazione umana.

Il team di ricerca dietro il progetto mira a mettere in luce come la corsa all’innovazione AI sia spesso modellata da comprensioni stereotipate e riduzioniste della natura umana e da nuovi conflitti emergenti su cosa significhi essere umani.

Il valore della scoperta inaspettata

La storia dell’innovazione è un mosaico affascinante di scoperte accidentali e lampi di genio. Spesso, queste intuizioni nascono da errori o esperimenti che prendono una direzione inattesa, dimostrando che la scoperta non segue un percorso lineare. Questi momenti, imprevedibili e non replicabili, sfidano anche l’intelligenza artificiale più avanzata.

Prendiamo Niels Bohr, padre della meccanica quantistica. La sua intuizione sui quanti emerse non da calcoli, ma da un’illuminazione improvvisa durante un dibattito. Bohr capì che l’energia atomica non era continua, ma distribuita in “quanti” discreti, rivoluzionando la fisica e aprendo nuove vie di comprensione dell’universo microscopico.

Nel design, la serendipità gioca un ruolo chiave. Il Post-it Note, per esempio, nacque da un adesivo debole sviluppato da Spencer Silver della 3M. Invece di considerarlo un fallimento, la sua capacità di attaccarsi temporaneamente ispirò un prodotto ormai indispensabile negli uffici.

Anche la penicillina di Alexander Fleming fu una scoperta fortuita, nata dall’osservazione di una muffa in grado di uccidere batteri in una coltura contaminata. Questi esempi evidenziano il valore dell’innovazione inaspettata e dell’intuizione umana.

Paradossalmente, l’assenza di intenzionalità umana può scatenare l’intuizione. L’AI, essendo programmata per scopi specifici, manca di questa spontaneità.

L’artista dei primi del Novecento Marcel Duchamp una volta trasformò un comune orinatoio in un’opera d’arte, giocando con l’idea che l’arte possa nascere quasi per caso, senza un’intenzione precisa. È un po’ come quando si gioca con i pezzi di un puzzle senza sapere esattamente cosa si sta creando. Questo concetto, noto come “macchina celibe”, suggerisce che a volte le cose più creative emergono quando meno ce lo aspettiamo.

Nello stesso spirito, l’antropologo Johan Huizinga, nel suo libro “Homo Ludens”, ci ricorda quanto sia importante il gioco nella nostra vita. Secondo lui, è attraverso il gioco spontaneo e libero che spesso nascono le idee più innovative. È un po’ come quando i bambini giocano senza uno scopo preciso, eppure inventano mondi e storie incredibili.

La creatività umana, spesso scaturita da un gioco libero e non guidato, è qualcosa di veramente speciale e ancora in gran parte inesplorato per l’intelligenza artificiale. In fondo, c’è qualcosa di magico nel modo in cui un’idea può nascere da un momento di pura spontaneità.

La generative AI come strumento di design

L’AI ha il potenziale per trasformare il nostro mondo in modi che stiamo appena iniziando a comprendere. Tuttavia, la creatività umana, con la sua profondità, empatia e capacità di innovazione, rimane insostituibile. In un futuro dominato dalla tecnologia e dalle sfide della superintelligenza, dobbiamo ricordare e valorizzare il nostro unico contributo umano al tessuto dell’innovazione e della cultura. È fondamentale progettare con un occhio alle persone e all’ecosistema in cui viviamo, evitando di fermarsi alle conclusioni ovvie o alle conferme di ciò che già sappiamo, ma piuttosto cercando di innovare attraverso l’esplorazione dell’inaspettato.

La nostra visione in Sketchin è di utilizzare l’AI non solo come uno strumento, ma come un mezzo per potenziare e arricchire la creatività umana. Vogliamo sviluppare insieme ai nostri clienti un approccio che bilancia sapientemente l’innovazione tecnologica con l’intuizione e l’empatia umana. Questo equilibrio ci consente di offrire soluzioni che non solo sono tecnicamente avanzate, ma anche profondamente in sintonia con le esigenze umane.

L’intelligenza artificiale generativa può servire da compagno di squadra per i creativi, estendendo la loro capacità di espressione e assistendoli nel processo creativo. Questi sistemi avanzati possono suggerire nuove direzioni, ispirare variazioni e persino generare prototipi dalle idee iniziali, accelerando il ciclo di feedback e permettendo una rapida iterazione.

Inoltre, l’AI può giocare un ruolo decisivo nell’aumentare la produttività e l’efficienza, fornendo assistenza contestualizzata e rispondendo proattivamente alle esigenze degli utenti. Questo tipo di supporto può liberare i creativi dai compiti ripetitivi, consentendo loro di concentrarsi su aspetti più strategici e innovativi del loro lavoro.

L’impiego dell’AI generativa nel processo di design può anche velocizzare la visualizzazione e la realizzazione di prototipi, permettendo ai designer di sperimentare e testare le loro idee con una rapidità prima impensabile. Ma non solo, essa riveste un ruolo fondamentale anche nelle fasi iniziali e conclusive del processo di design thinking, influenzando positivamente l’intero ciclo creativo.

Definizione delle sfide e raccolta di informazioni: L’AI aiuta a identificare e definire con precisione le sfide di design, fornendo analisi dettagliate e intuizioni basate su dati. Questo permette ai designer di focalizzarsi su problemi specifici con una comprensione più profonda.

Generazione di idee e soluzioni: Utilizzando l’AI generativa, i designer possono generare rapidamente una vasta gamma di idee e soluzioni, superando i limiti del pensiero convenzionale. Questo stimola la creatività e l’innovazione, portando a soluzioni più originali e di valore.

Test e validazione: Nelle fasi di test e validazione, l’AI può analizzare rapidamente i feedback e i dati di performance, permettendo ai designer di affinare e migliorare le loro creazioni in modo più efficiente.

Liberazione del tempo creativo: La capacità dell’AI di automatizzare e velocizzare processi ripetitivi libera tempo prezioso per i designer. Questo tempo può essere impiegato per riflettere e sviluppare soluzioni di design di più alto valore, concentrando l’attenzione su aspetti più strategici e creativi.

Arricchimento del processo creativo: L’AI generativa, fornendo nuove prospettive e analisi, arricchisce il processo creativo. I designer possono sfruttare questi strumenti per esplorare territori inesplorati, sfidando i propri limiti creativi.

La sfida creativa offerta dall’AI è estremamente stimolante. Avendo a disposizione soluzioni generate da modelli probabilistici, i designer sono spinti a esplorare oltre le risposte ovvie, cercando soluzioni più approfondite e significative. L’AI ci invita a superare i limiti del pensiero convenzionale, spingendoci verso soluzioni innovative che portino un valore aggiunto tangibile e distintivo ai progetti.

L’obiettivo è saper interpretare le informazioni fornite dalle intelligenze artificiali non come risposte definitive, ma come elementi che possono ampliare la nostra comprensione di un problema o di un’opportunità. Questo è fondamentale per scoprire nuove prospettive che possono influenzare positivamente lo sviluppo di un prodotto o servizio.

La necessità di un ruolo umano 

Mentre l’automazione può portare a efficienze senza precedenti, è essenziale mantenere un elemento umano nel processo. Questo garantisce non solo che i risultati siano pertinenti e significativi, ma anche che vengano considerate le implicazioni etiche e sociali dell’automazione.

È importante distinguere tra il ruolo dell’AI nella generazione di opzioni e la vera creatività, che rimane una prerogativa umana. In questo modo, l’AI diventa uno strumento che semplifica e ottimizza l’esecuzione, permettendo ai designer di concentrarsi sugli aspetti più creativi e innovativi del loro lavoro.

Un prodotto o servizio di successo necessita di una visione che vada oltre l’ovvio o il già noto. L’intelligenza artificiale ci apre una finestra su un mondo plasmato dai dati, permettendoci di individuare aspetti che potrebbero sfuggirci. Come designer, il nostro ruolo è quello di interpretare queste informazioni, integrandole con la nostra prospettiva unica per creare soluzioni veramente innovative che rispondano alle esigenze autentiche delle persone.

In questo contesto, è fondamentale considerare la soggettività dell’esperienza. Ogni individuo percepisce il mondo in modo unico, influenzato dalla propria storia, cultura e contesto personale. Questa soggettività è cruciale nel design, poiché ci permette di creare prodotti e servizi che risuonano a livello personale con gli utenti, offrendo esperienze che sono significative e pertinenti per loro.

Il vero equilibrio si trova nell’armonizzare il contributo umano con quello delle macchine, utilizzando l’AI per arricchire e non sostituire la creatività umana. Le possibilità offerte dal design assistito dall’intelligenza artificiale sono vastissime e, con un approccio attento e responsabile, possiamo sfruttare il suo potenziale per il bene della società, tenendo sempre in considerazione la ricchezza e la varietà delle esperienze umane.

Riflettendo sull’interazione tra creatività e macchine avanzate, le parole di Blade Runner risuonano con nuova forza: “Non sono le macchine a vivere. Siamo noi.” Questo pensiero ci ricorda che, nonostante l’abilità delle macchine di emulare aspetti della vita, il cuore pulsante della creatività e dell’innovazione batte ancora nelle mani dell’umanità.

"Da quando è girata la notizia dei tagli di IDEO mi sono interessato molto a leggere i punti di vista di svariati professionisti del settore. In certi casi pare che la user experience non serva più e le sentenze più severe vedono l’AI come il boia. Nella mia personale opinione invece questo momento storico potrebbe offrire l’opportunità di interrogarsi sul fatto di aver inteso bene cosa sia la UX.

Lo studio dell’interazione uomo-macchina è vivo e vegeto, più che mai, dato che che stiamo costruendo una società basata su sistemi digitali. È il ruolo di una agency o di una società di consulenza, forse, a essere cambiato. I nostri clienti hanno creato unit interne di talenti del design che risolvono i problemi al posto loro. Ma cosa fanno questi designer? Nella mia personale esperienza, vedo i team di design interni occuparsi del mantenimento dei prodotti digitali dell’azienda per la quale lavorano, attraverso design system molto strutturati.

Un team di design interno spesso non ha il tempo per esplorare soluzioni nuove e innovative, o semplicemente è troppo immerso nel contesto per tralasciare i meccanismi complicati di un’azienda e ragionare a mente fresca e libera. Un punto di vista fresco e super partes spesso è più che utile. Per vedere insieme un concept, un’idea nuova, che poi può essere tranquillamente portata avanti in casa.

Anche se l’AI arriverà a fare tutti i lavori per noi, rimarrà sempre il fatto che c’è un essere umano che interagisce con una macchina. Come reagirà? Quali frustrazioni avrà? Come sfruttare la macchina a beneficio dell’essere umano? Come rendere il prodotto/servizio digitale accessibile a tutti?
Questo fa l’UX designer.

Ma oggigiorno sembra che stia diventando un ruolo professionale costretto a preoccuparsi della sua stessa esistenza, perché il mercato lo spinge a occuparsi fin da subito dell’interfaccia finale, a pensare al visual design, a prendere ispirazione dal trend del momento che è effimero, sempre più momentaneo, etereo.

Il mio invito è tornare a occuparsi delle persone, rimettendole al centro (prima che siano queste a non servire più)".

Stefano Greco, Lead UX Designer, Sketchin

Scrivici!

Se vuoi saperne di più sulle AI enabled experinces e come realizzarle.